Gestione del credito ai tempi del coronavirus Come e cosa rispondere ai debitori che chiedono la sospensione o dilazione dei pagamenti a causa dell’emergenza coronavirus

Com’era prevedibile, soprattutto a seguito dei recenti provvedimenti governativi, è in aumento il numero dei debitori che inviano ai propri fornitori lettere di avviso (spontaneo) o di risposta (a seguito di solleciti di pagamento) per comunicare la momentanea difficoltà o impossibilità a pagare quanto dovuto alle scadenze pattuite. Le motivazioni utilizzate sono variegate nella forma, ma nella sostanza rinviano tutte a una (presunta) difficoltà nel mantenere la continuità aziendale, nell’approvvigionamento di risorse e beni necessari alla produzione o alla prestazione dei servizi e, da ultimo, nell’incassare i crediti verso i propri clienti e debitori.Si presume ragionevolmente che questa situazione impiegherà alcune settimane – se non alcuni mesi, considerando il differente ritmo di diffusione del virus in zone geografiche diverse – per tornare alla normalità. Tutto questo impone alle aziende di ricalibrare velocemente i processi e gli strumenti di credit management, al fine di mitigare il più possibile il rischio di mancati pagamenti.

soluzioni efficaci che siano al tempo stesso tecnicamente valide e commercialmente praticabili

Inquadramento giuridico

Prima di tutto, occorre verificare se il contratto in questione disciplini espressamente il caso dell’emergenza sanitaria (o, analogamente, dei provvedimenti governativi conseguenti, oppure di eventi straordinari ed eccezionali), al fine di stabilire se ed entro quali limiti ciò configuri la cosiddetta forza maggiore (force majeure, nella contrattualistica internazionale) o l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (hardship), cioè quegli istituti che escluderebbero la responsabilità (contrattuale o aquiliana) della parte inadempiente.

Presenza di clausole contrattuali specifiche: la “forza maggiore”

La fattispecie della forza maggiore infatti non è disciplinata dal nostro ordinamento, anche se si è ormai sedimentata nella prassi degli operatori economici.

Con riguardo a provvedimenti dell’Autorità (il c.d. factum principis) che causino l’impedimento ad adempiere, sussiste la forza maggiore (che esonera il debitore da responsabilità per l’inadempimento) solo se il provvedimento sia imprevedibile, inevitabile e non imputabile a una delle parti. Sono questi quindi gli elementi che andranno esaminati per interpretare correttamente il contratto e stabilire se il caso concreto rientri o meno in tale ipotesi:

  • imprevedibilità, cioè impossibilità di prevedere l’evento eccezionale (inclusi i provvedimenti delle autorità competenti) al momento della conclusione del contratto;
  • inevitabilità, cioè impossibilità di superare l’impedimento con un comportamento secondo l’ordinaria diligenza richiesta dal contratto;
  • non imputabilità, cioè non riconducibilità del provvedimento alla condotta della parte inadempiente.

Teoricamente, i provvedimenti emergenziali emanati in queste settimane potrebbero soddisfare i 3 requisiti e potrebbero quindi essere qualificati come eventi di forza maggiore. Laddove il decreto governativo sia la causa diretta che ha impedito l’adempimento del debitore, quest’ultimo potrebbe infatti andare esente da responsabilità. Tuttavia non è possibile trarre conclusioni valide in generale per tutte le situazioni, che andranno invece singolarmente valutate al fine di accertare l’effettiva sussistenza della forza maggiore.

Mancanza di clausole specifiche: le norme applicabili

In caso di mancanza di clausola specifica al riguardo – e soprattutto se ci si trovi in un rapporto commerciale transnazionale – si devono individuare correttamente la giurisdizione e la legge applicabili, al fine di stabilire quale giudice (o arbitro) dovrà occuparsi della controversia e secondo quali norme. In questa indagine sarebbero sicuramente di supporto i principi Unidroit, le linee guida della Camera di Commercio Internazionale, le convenzioni internazionali (per esempio la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci) e la giurisprudenza (dei Tribunali o degli Arbitrati).

Se però ci atteniamo all’area europea, e in particolare alle vendite e prestazioni di servizi svolte entro i confini italiani, in assenza di clausole contrattuali ad hoc, deve farsi riferimento innanzitutto al Codice Civile. Senza pretese di esaustività, questi sono gli articoli maggiormente rilevanti:

  • Art. 1218 cc “Responsabilità del debitore”: Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
  • Art. 1256 cc “Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea”: L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finchè essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla [1].
  • Art. 1467 cc “Contratto con prestazioni corrispettive”: Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 […].

Le comunicazioni dei debitori in merito alla difficoltà o impossibilità di far fronte regolarmente ai pagamenti (fatte salve altre fondate ragioni per non pagare, come mancata o ritardata consegna della merce, vizi dei beni, etc) possono quindi essere esaminate alla luce dei seguenti istituti:

  • impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1218 e 1256 c.c., con riguardo in generale a tutti i contratti);
  • eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (art. 1467 c.c., con riguardo ai contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita).

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione

In tema di inadempimento contrattuale, ai sensi degli artt. 1218 e 1256 c.c., l’obbligazione si estingue quando la prestazione diventa “impossibile” per causa non imputabile al debitore. Inoltre, se tale impossibilità è solo temporanea, nelle more della stessa il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tra le conseguenze pregiudizievoli del ritardo non addebitabili al debitore vanno compresi anche gli interessi moratori ex Dlgs 231/2002 (oltre alle penali e agli obblighi risarcitori).

Pertanto, la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della prestazione può avvenire solo se e nella misura in cui coesistano:

  • l’elemento soggettivo dell’assenza di colpa del debitore riguardo alla causazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione, e
  • quello oggettivo dell’impossibilità di eseguire la prestazione medesima.

Quanto al primo elemento, la giurisprudenza consolidata (Cass. 12477/2002) sostiene che l’art. 1218 c.c. fonda una presunzione di colpa, ossia di addebitabilità della causa dell’inadempimento a carico del debitore, che quest’ultimo deve vincere provando che l’evento che ha reso impossibile la prestazione non era né prevedibile né evitabile con l’impiego della diligenza richiesta in relazione al tipo di rapporto considerato: la prova della non imputabilità dell’evento deve essere piena e completa e deve comprendere la dimostrazione della mancanza di colpa, sotto qualsiasi profilo.

Quanto all’elemento oggettivo, invece, tra gli eventi che possono fondare l’impossibilità, vanno ricompresi gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità amministrativa (cioè il c.d. factum principis): si tratta, in concreto, di provvedimenti legislativi o amministrativi, dettati da interessi generali, che rendano impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato. In altri termini, sono circostanze che escludono la responsabilità del debitore a prescindere dalle previsioni contrattuali pattuite.

Si potrebbe quindi ipotizzare che proprio in questa categoria rientrino i recenti Decreti governativi adottati per affrontare il problema della diffusione del coronavirus.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria però:

  • in materia di obbligazioni pecuniarie, l’impossibilità della prestazione ai fini dell’estinzione dell’obbligazione non può consistere nella mera impotenza economica derivante dall’inadempimento di un terzo nell’ambito di un diverso rapporto obbligatorio (App. Milano, 16/1/1979; Cass. 2555/1968; Cass. 9645/2004);
  • la liberazione del debitore nel caso in cui la prestazione divenga impossibile per un ordine o un divieto dell’autorità amministrativa, avviene solo qualora non vi sia colpa imputabile al debitore per l’intervento dell’Autorità (ad esempio, se il provvedimento dell’Autorità sia ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la diligenza dell’uomo medio, al momento del perfezionamento del contratto), ovvero qualora costui provi di essersi attivato in ogni modo, secondo l’ordinaria diligenza, per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della P.A. (Cass. 12093/1998);
  • incombe sempre sul debitore l’onere di dimostrare la causa dell’impossibilità e che questa non era a lui imputabile;
  • l’inequivoca manifestazione della volontà di non adempiere, ovvero la dichiarazione dell’impossibilità di eseguire, equivalgono ad inadempimento, anche se non è stato fissato o non è ancora scaduto il termine o se la prestazione dovrebbe essere eseguita dopo quella di controparte, non ancora avvenuta (Cass. 97/1997); analogamente, costituisce inadempimento il mancato compimento dell’attività esecutiva, qualora il ritardo accumulato sia tale da rendere certa ed inevitabile la mancata esecuzione alla scadenza. In tal caso si ritiene legittimo il ricorso anticipato ai rimedi sinallagmatici (risoluzione per inadempimento, per impossibilità sopravvenuta, per eccessiva onerosità, etc) (Cass. 7318/1986; Cass. 529/1970);
  • ricorre impossibilità della prestazione solo in presenza di un ostacolo tale da impedire la prestazione in modo assoluto ed oggettivo (Cass. 2691/1987) (assolutezza non intesa in senso strettamente naturalistico, ma anche come semplice maggior onerosità o difficoltà dell’attività esecutiva, non eseguibile con uno sforzo rientrante nei limiti della diligenza, a seconda del tipo di obbligazione: Cass. 7604/1996);
  • le obbligazioni di consegnare cose “di genere” (denaro o merci) sono considerate normalmente insuscettibili di estinzione per sopravvenuta impossibilità dell’esecuzione (Cass. 3844/1980). L’esonero del debitore può verificarsi soltanto quando il genere divenga incommerciabile (per es. per provvedimento dell’Autorità: Cass. 2548/1982) oppure irreperibile per eventi politici ovvero quando ne venga cessata la produzione o la distribuzione e quindi non sia in assoluto reperibile sul mercato.

Nel caso dell’impossibilità temporanea, invece, l’art. 1256, comma 2 c.c. esclude la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento, fino a che detta impossibilità si protrae. In generale, dunque, una volta venuta meno l’impossibilità, il debitore deve sempre eseguire la prestazione, indipendentemente da suoi eventuali interessi divergenti, i quali semmai possono rilevare sotto il diverso profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.

In sintesi, in conclusione:

  • se l’impossibilità è definitiva (perché l’impedimento è irreversibile), l’obbligazione si estingue e il contratto si risolve;
  • se l’impossibilità è temporanea (perché l’impedimento è transitorio), occorre esaminare due casi distinti:
  • se la parte adempiente non ha più interesse all’adempimento dell’altra oppure se la parte inadempiente non può più essere ritenuta tenuta all’adempimento, l’obbligazione si estingue e il contratto si risolve;
  • in tutti gli altri casi, invece, il contratto non si estingue e, come unica conseguenza, la parte inadempiente non risponde del ritardo.

Eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione

Impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità sopravvenuta sono fattispecie ben diverse. La seconda, infatti, non impedisce la prestazione, bensì la rende più “onerosa”, e proprio per tale motivo il Codice Civile concede al debitore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione della prestazione.

L’elemento temporale è determinante in questo caso, difatti questo tipo di risoluzione può chiedersi solo nei contratti di durata (ad esecuzione periodica, continuata o a esecuzione differita).

L’art. 1467 c.c. in particolare richiede due presupposti ai fini della risoluzione contrattuale:

  • l‘intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto;
  • la riconducibilità dell’eccessiva onerosità a “eventi straordinari ed imprevedibili”, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale.

Nel dettaglio, e seguendo la migliore giurisprudenza (Cass. 22396/2006):

  • la “straordinarietà” è elemento di natura oggettiva, e va verificata sulla base di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico);
  • la “imprevedibilità” ha invece carattere psicologico-soggettivo.

Tuttavia, non è consentito invocare la risoluzione ogni volta in cui intervenga un qualsiasi aggravamento della posizione di una delle parti, bensì solo quando la sopravvenuta onerosità esuli dal normale rischio contrattuale.

Poiché l’eccessiva onerosità della prestazione non è definita dal legislatore, la stessa va valutata alla stregua di criteri oggettivi, con esclusione di ogni riferimento ai profili concernenti la rappresentazione delle parti e l’organizzazione del debitore. Alla semplice difficoltà di adempimento, quindi, non andrebbe attribuita alcuna rilevanza ai fini della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, né ai fini di una giustificazione dell’inadempimento. Al contrario, se l’eccessiva onerosità effettivamente sopravviene il contratto potrà risolversi anche quando, in concreto, il debitore non avesse avuto alcuna difficoltà ad adempiere.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria:

  • nonostante l’art. 1467 c.c. parli espressamente della sola prestazione del debitore, l’eccessiva onerosità sopravvenuta va applicata anche, e soprattutto, nei casi di notevole alterazione del rapporto originario delle prestazioni con riferimento all’eccezionale diminuzione di valore della controprestazione (Cass. 11947/2003);
  • per stabilire se una prestazione è eccessivamente onerosa rispetto alla corrispettiva occorre confrontare il loro valore al tempo in cui sono sorte e a quello in cui devono eseguirsi (Cass. 5302/1998);
  • la prestazione dovuta da una parte diventa eccessivamente onerosa solamente nel caso in cui, per eventi straordinari e imprevedibili, sia divenuta troppo gravosa per il debitore, non invece quando, in seguito al verificarsi di tali eventi, la sua esecuzione sia suscettibile di procurare al creditore vantaggi originariamente insperati (Cass. 3296/2002);
  • nei contratti a prestazioni corrispettive, ad esecuzione continuata o periodica o differita, ciascuna parte assume su di sé il rischio degli eventi che alterino il valore economico delle rispettive prestazioni, entro i limiti rientranti nell’alea normale del contratto, da tenersi pertanto da ciascun contraente presenti al momento della stipulazione, alla stregua della dovuta diligenza. Ne consegue che non assume al riguardo rilievo la sopravvenienza di circostanze prevedibili che rendano comunque eccessivamente gravoso – e pertanto inesigibile – l’adempimento della prestazione, vertendosi in tal caso non già in tema di alterazione dell’economia contrattuale, bensì d’inadempimento (Cass. 12235/2007);
  • l’evento sopravvenuto non è rilevante quando il debitore, negligentemente, non l’abbia previsto, o quando egli abbia contribuito con il proprio comportamento a determinare l’eccessiva onerosità (Cass. 2661/2001);
  • l’eccessiva onerosità sopravvenuta non produce alcun effetto liberatorio automatico, e può essere invocata solo a fondamento di una domanda di risoluzione, non quale mera eccezione per contrastare l’altrui richiesta di adempimento. Il debitore quindi non sarebbe esonerato dall’adempimento, né legittimato a sospendere l’esecuzione della prestazione, per cui per liberarsi dalla sua obbligazione (e non incorrere nella responsabilità per inadempimento) avrebbe il solo rimedio di agire in giudizio per la risoluzione (Cass. 20744/2004). E’ minoritario l’indirizzo per cui il debitore in buona fede potrebbe legittimamente sospendere l’esecuzione della prestazione sin dalla tempestiva comunicazione stragiudiziale della sopravvenienza onerosa e della volontà di avvalersi del rimedio risolutorio.

Il terzo comma dell’art. 1467 cc stabilisce che “La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. La cd. reductio ad aequitatem quindi è un rimedio alternativo alla risoluzione concesso al creditore della prestazione divenuta eccessivamente onerosa, il quale può evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto in modo da rimuovere l’eccessiva onerosità sopravvenuta.

Qualora l’offerta non raggiunga il suo scopo (per la mancata accettazione del debitore che abbia gito per la risoluzione), il giudice, previa incidentale valutazione dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, dovrà accertare se la stessa sia o meno adeguata a ricondurre il contratto ad equità.

Secondo la giurisprudenza, l’offerta deve essere tale da ristabilire l’equilibrio delle prestazioni secondo criteri estimativi-oggettivi di carattere tecnico e non meramente equitativi (Cass. 8857/1998), o quantomeno essere idonea ad attenuare il connotato dell’eccessività, e ricondurre così l’onerosità nella normale alea della fattispecie contrattuale (Cass. 247/1992).

In sintesi, in conclusione, occorre verificare se nel caso concreto il provvedimento dell’Autorità ha effettivamente causato direttamente un sacrificio eccessivo a una delle parti del contratto. Se tale condizione sussiste:

  • la parte eccessivamente onerata potrà chiedere la risoluzione del contratto; oppure
  • la parte avvantaggiata potrà offrire di modificare i termini contrattuali per riportarli ad equità.

Gli inadempimenti genericamente connessi all’emergenza coronavirus

La forza maggiore, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, se invocate, permettono al debitore di andare esente da responsabilità per l’inadempimento solo se le medesime circostanze sono direttamente e immediatamente causate dai provvedimenti legislativi o amministrativi d’emergenza, o dall’evento naturalistico della diffusione del virus in sé e per sé considerato.

Invece, se l’inadempimento sia solo indirettamente ricollegabile ai provvedimenti dell’Autorità, quelle esimenti non potranno essere validamente invocate. Per esempio, in tutti i casi in cui i provvedimenti emergenziali non impediscano in toto la prestazione dovuta, ma si limitino ad avere effetti negativi sulla normale attività d’impresa del debitore.

Pertanto sembra difficilmente giustificabile (quantomeno da un punto di vista giuridico) il comportamento del debitore che sospenda o rifiuti il pagamento dei fornitori adducendo come motivazione – in via generica e senza riferimento a specifiche ipotesi di impedimento subìto – la situazione di emergenza legata alla diffusione del coronavirus, ed eventualmente la difficoltà ad incassare puntualmente i propri crediti conseguente, appunto, all’emergenza.

A quest’ultimo proposito, in assenza di situazioni di vera e propria chiusura generalizzata delle aziende sue clienti e/o di crollo del suo mercato (sempre se legati alla diffusione del virus o ai provvedimento governativi), al debitore potrebbe essere addebitata una mancanza di diligenza per non aver gestito correttamente e per tempo il rischio del credito, per esempio adottando opportune azioni di risk & credit management (per esempio in sede di affido del cliente o di individuazione delle linee di credito), trasferendo il rischio a soggetti terzi (come le compagnie di assicurazione del credito o società di factoring), oppure cedendo il credito. Da questo punto di vista difetterebbero quindi i requisiti della non imputabilità dell’impossibilità sopravvenuta di pagare e dell’imprevedibilità dell’evento che reso eccessivamente oneroso il pagamento.

Impatto sul credit management e possibili soluzioni

Alla luce delle riflessioni fatte fin qui – e soprattutto con riguardo alle attività d’impresa non incise né sospese dai recenti decreti governativi o regionali – appare evidente come l’emergenza coronavirus e i provvedimenti dell’Autorità non possano costituire di per se stessi valido motivo per sospendere o rifiutare il pagamento di fatture regolarmente emesse, in quanto è difficile ipotizzare casi in cui:

  • i decreti dell’Autorità o la diffusione del virus siano diretto impedimento a un pagamento in denaro, nella maggior parte dei casi fatto senza scambio fisico di moneta, bensì con i più svariati modi informatici e dematerializzati in uso nella prassi commerciale (fatti salvi tutti gli eventuali casi particolari, da valutare singolarmente: si pensi alla previsione di un pagamento a scadenza mediante consegna di un titolo, assegno o cambiale, che potrebbe essere formalmente impedito dalle restrizioni governative agli spostamenti: in quel caso tuttavia si potrebbe ipotizzare far rientrare la fattispecie nell’esimente dello spostamento per comprovati motivi di lavoro);
  • un pagamento in denaro (cioè per antonomasia un bene fungibile) diventi impossibile o eccessivamente oneroso.

Mancato pagamento di fatture già scadute

Queste conclusioni sono certamente valide per quanto riguarda fatture già scadute al momento di emanazione dei decreti dell’Autorità o dell’aggravarsi dell’emergenza coronavirus (fatto però difficilmente collocabile con precisione nel tempo).

Pertanto in questi casi, fatti salvi i casi in cui sia preminente la necessità di salvaguardare la relazione commerciale o addirittura l’esistenza stessa del cliente, non si ravvisano controindicazioni particolari all’avvio delle ordinarie procedure prelegali e giudiziali per il recupero del credito.

Fatture non ancora emesse o non ancora scadute

Andrebbe invece valutata con più attenzione – e necessariamente caso per caso – l’ipotesi in cui il debitore preannunci la sospensione o il rifiuto di pagare fatture ancora da emettere o, se già emesse, non ancora scadute.

Infatti, non è del tutto remota l’ipotesi in cui il debitore invochi l’eccessiva onerosità sopravvenuta con riferimento non alla prestazione di pagamento in denaro in sé e per sé considerata, bensì specificamente ai termini di pagamento o al prezzo concordati a monte, al momento della sottoscrizione del contratto o della formulazione dell’ordine.

Se, con riguardo alle imprese ad oggi non ancora incise dalle restrizioni governative, l’ipotesi di uno squilibrio economico sopravvenuto di portata tale da costituire l’eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 cc potrebbe apparire alquanto astratta, lo stesso non sembra potersi dire con certezza se, invece, si volge lo sguardo alle attività d’impresa già oggetto di limitazioni all’apertura o di chiusura forzata (si veda per esempio l’elenco di cui all’art. 1 del DPCM 11/3/2020).

Con limitato riferimento a queste ultime imprese, e a maggior ragione nel caso in cui il Governo decidesse di protrarre le restrizioni oltre la data del 3/4/2020 (ed eventualmente di allargare la platea dei destinatari e/o di disporre limitazioni più pesanti e durature), i debitori potrebbero ritenere eccessivamente onerosi i termini di pagamento concordati nei mesi precedenti (prima dei decreti governativi e dell’aggravarsi della crisi) sulla base di una situazione di mercato completamente diversa e mutata solo successivamente per cause straordinarie ed imprevedibili.

Gli stessi debitori potrebbero dunque sostenere che lo sconvolgimento delle condizioni di mercato causato dall’emergenza coronavirus (e dai conseguenti decreti) sia stato tale da rendere:

  • del tutto inutili le previsioni a suo tempo effettuate sui flussi di tesoreria e finanza, di cassa, degli incassi, etc;
  • del tutto esorbitanti o comunque non più attuali i prezzi e/o i termini di pagamento normalmente praticati in quel settore o nella prassi commerciale tra le parti; e, in ultima analisi;
  • del tutto squilibrato il rapporto tra prestazione del creditore e controprestazione del debitore, in una misura non più tollerabile, in quanto al di là dell’ordinaria dinamica di mercato tra domanda e offerta.

Usando i termini di dottrina e giurisprudenza, potrebbe infatti sostenersi che il pagamento preteso (o il relativo termine di pagamento) abbia travalicato i confini della normale alea del contratto, a causa dell’emergenza coronavirus e dei conseguenti provvedimenti dell’Autorità, da considerarsi eventi straordinari e imprevedibili ai sensi dell’art. 1467 cc, giustificativi di una risoluzione contrattuale o della pretesa di modificare le relative clausole (si rinvia ai paragrafi precedenti per i dettagli circa i rimedi previsti).

Da altro punto di vista, le medesime imprese (quelle già chiuse ad oggi per effetto dei decreti, o quelle che potrebbero essere chiuse un domani) potrebbero eccepire l’impossibilità temporanea (ex art. 1256 cc) di disporre pagamenti proprio perché chiuse per factum principis.

Sebbene la disposizione di un pagamento sia attività astrattamente possibile anche senza la materiale apertura dei locali dove l’impresa viene esercitata, deve rilevarsi come la formulazione dell’art. 1 del DPCM 11/3/2020 parli in generale e senza eccezioni di “attività” (commerciali, di ristorazione, etc.). Per questo motivo pare difficile far salva un’azione (quella amministrativa-finanziaria consistente nel pagamento di una somma di denaro dovuta a un fornitore) che, a tutti gli effetti, è parte integrante della ordinaria attività d’impresa.

Pertanto, salvo casi particolari (si rinvia ai paragrafi precedenti per i dettagli circa i rimedi dell’art. 1256 cc) il debitore dovrà comunque pagare quanto dovuto una volta venuta meno l’impossibilità, ma per tutto il tempo dell’inadempimento non imputabile non dovrà subire le conseguenze del ritardo: principalmente – in tema di ritardato pagamento di somme di denaro – l’applicazione degli interessi (legali o, in caso di transazioni commerciali, moratori ai sensi del Dlgs 231/2002 e Dlgs 192/2012).

Cosa rispondere ai debitori: i rinvii al contratto e/o alle norme, e i relativi rischi

In generale, a supporto di richieste di sospensione dei pagamenti o di rimodulazione dei termini giustificate a vario modo e titolo con riferimento all’emergenza coronavirus e/o ai conseguenti provvedimento dell’Autorità, il debitore potrebbe invocare:

  • una specifica clausola contrattuale che disciplini i casi di forza maggiore o comunque di eventi straordinari e imprevedibili.
  • l’impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione di pagamento, ex art. 1256 c.c.; e quindi pretendere di pagare solo quando l’impossibilità sarà cessata, senza vedersi applicati interessi moratori, penali o richieste risarcitorie;
  • l‘eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione di pagamento, ex art. 1467 c.c.; e quindi pretendere la risoluzione del contratto o la sua rinegoziazione allo scopo di riequilibrare le prestazioni.

Al di fuori del primo caso (da verificare caso per caso, secondo i corretti canoni di interpretazione del contratto), i casi 2) e 3) espongono il creditore a dei rischi:

  • l’adesione all’applicazione dell’art. 1256 c.c. impedisce al creditore di addebitare interessi, penali e richieste risarcitorie per il ritardo nell’inadempimento e, con riguardo a quegli accessori del credito, costituisce un elemento sfavorevole in caso di eventuale successivo giudizio; inoltre, costringe il creditore a rinunciare all’incasso del proprio credito per un periodo di tempo non predeterminabile, dato che non è possibile prevedere le evoluzioni dell’emergenza sanitaria e/o il contenuto di eventuali nuovi provvedimenti pubblici;
  • l’adesione all’applicazione dell’art. 1467 c.c. comporta per il creditore la risoluzione del contratto, e quindi l’estinzione del suo diritto di credito, oppure, al fine di evitare la risoluzione, l’obbligo di rinegoziare il contratto per riportarlo ad equità; anche in questo caso, l’orizzonte temporale rimane indefinito (per i medesimi motivi visti al punto precedente).

Alla luce di quanto esposto, e in assenza di provvedimenti normativi ad hoc (attualmente non esistenti) che dispongano in via autoritativa proroghe o sospensioni dei termini di pagamento e/o degli interessi, si ritiene che lo strumento più tutelante per i fornitori sia la negoziazione in via stragiudiziale.

Parte della dottrina e alcune isolate sentenze addirittura, importando concetti cari alla contrattualistica internazionale, sostengono che non possa negarsi rilevanza alla buona fede nell’esecuzione del contratto, che obbligherebbe quindi le parti e rinegoziarne il contenuto laddove le prestazioni originariamente concordate siano divenute eccessivamente squilibrate oppure le clausole siano divenute inique, a causa di eventi straordinari e imprevedibili.

Strategie di gestione e recupero del credito: una corretta negoziazione

Al di là degli orientamenti di dottrina e giurisprudenza, ad ogni modo, è una corretta strategia di gestione e recupero del credito a rendere preferibile lo strumento negoziale per affrontare le situazioni in esame, in quanto permette al creditore di:

  • avere il controllo sugli effetti di quanto concordato, potendo disciplinare espressamente ogni aspetto dell’accordo (che non sia oggetto di norme imperative di legge);
  • gestire e ridurre il rischio di contestazioni strumentali sulla prestazione fornita;
  • ottenere un documento scritto a prova del proprio credito, soprattutto laddove riesca a far rilasciare al debitore un riconoscimento espresso del debito, con chiara indicazione del titolo (per es.: riferimento del contratto o dell’ordine; numero e importo delle fatture, etc); e grazie a questo:
  • facilitare l’onere della prova in caso di successiva richiesta di decreto ingiuntivo(provvisoriamente esecutivo); e/o di introduzione di un giudizio per l’accertamento del credito insoluto e la condanna del debitore al relativo pagamento;
  • a determinate condizioni, ottenere un documento scritto contenente una prova del credito sicuramente riferibile al debitore e avente data certa, quindi opponibile a terzi in caso di successivo accesso del debitore a una procedura concorsuale;
  • velocizzare l’iter per l’ottenimento di un titolo esecutivo e quindi in ultima analisi le tempistiche di recupero coattivo del credito;
  • pianificare e mantenere il controllo sulle tempistiche dei pagamenti, anche ove dilazionati;
  • disciplinare il decorso degli interessi moratori (con esclusione dei casi inderogabili previsti dal Dlgs 192/2012);
  • inserire previsioni sull’imputazione dei pagamenti;
  • poter ottenere più facilmente garanzie dei pagamenti;
  • inserire clausole risolutive espresse;
  • inserire ipotesi di decadenza dal beneficio del termine;
  • inserire clausole di espressa esclusione dell’effetto novativo dell’accordo, se necessario.

Da ultimo, non va sottovalutato il positivo effetto che una gestione negoziale proattiva, ragionevole e trasparente da parte del creditore può avere nella relazione commerciale con un cliente che si trovi in una situazione di difficoltà e possa sostenere valide ragioni per chiedere la sospensione o la rimodulazione dei pagamenti.

Coronavirus, mancati pagamenti, crisi aziendali, processi di risk & credit management

In conclusione, è evidente il rischio che questa emergenza sanitaria porti con sé una nuova fase di peggioramento dei pagamenti nel mercato, non solo italiano ma internazionale.

Quantomeno a livello domestico, è alto il rischio che la flessione nei pagamenti comporti nel medio-lungo periodo un nuovo aumento delle crisi aziendali e delle conseguenti procedure concorsuali, soprattutto se le Autorità competenti non prenderanno decise misure per supportare l’economia (in Italia già stagnante da mesi, peraltro).

Senza dimenticare che ad agosto 2020 dovrebbe entrare in vigore la Riforma fallimentare, con i nuovi obblighi, strumenti e procedure previsti dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (organi di controllo societari, assetti organizzativi adeguati, indici della crisi, obblighi di segnalazione, procedure di allerta, OCRI, etc).

A meno che il Governo disponga delle proroghe, i primi mesi di applicazione della Riforma vedranno pertanto i fornitori commerciali in una posizione di asimmetria informativa rispetto a quei soggetti (come Banche e Assicurazioni del credito, per esempio) che per loro natura hanno accesso pressochè immediato a un patrimonio significativo di dati freschi sullo stato di salute della clientela, o rispetto a quei soggetti (come Agenzia delle Entrate, Enti della riscossione ed Enti previdenziali: i cd. Creditori pubblici qualificati) sui quali gravano obblighi di segnalazione. La procedura di allerta prevista dal CCII è infatti (tendenzialmente) riservata e confidenziale.

Ancora prima dell’emergenza sanitaria in atto si paventava da più parti il rischio di un boom di procedure a seguito dell’esito infruttuoso delle prime procedure di allerta, data la verosimile mancanza di preparazione delle aziende (soprattutto le Piccole Imprese) alle novità della Riforma fallimentare. Questo rischio pare ancora più concreto e maggiore oggi, alla luce della pericolosa spirale che questa emergenza sanitaria potrebbe innescare: diffusione del coronavirus – misure restrittive delle Autorità – mancati pagamenti – mancati incassi – crisi aziendali – procedure concorsuali.

Per il fornitore è quindi fondamentale, ora più che mai, dotarsi di processi di risk & credit management adeguati a fronteggiare un nuovo periodo di insolvenze dei clienti e, in generale, di crisi dei mercati. In questa prospettiva, una gestione corretta – anche da un punto di vista legale – delle richieste di sospensione e/o dilazione dei pagamenti è uno dei tasselli fondamentali per fare strategia, e non solamente tattica.

 

 

Fonte “Studio Castaldi”